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Pappi Corsicato: «Racconto la follia delle donne»

di Emanuele Bigi

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25 settembre 2008

Pappi Corsicato e il suo "Il seme della discordia", con Caterina Murino (nel suo primo ruolo da protagonista in un film italiano), Alessandro Gassman, Martina Stella, Michele Venitucci, Valeria Fabrizi e Isabella Ferrari spiazza. Più che altro spiazza la scelta di Müller & C di inserirlo nel concorso della Mostra. Siamo in un mondo surreale in cui tutto è dipinto con gli stessi colori, le atmosfere rimandano ai film degli anni Settanta e i personaggi sono quasi incollati come figurine sullo sfondo della Napoli moderna del Centro direzionale. La storia è quella della giovane e bella Veronica (Murino) sposata con l'attraente Mario (Gassman) che un giorno scopre di essere incinta, ma proprio nello stesso momento le analisi ospedaliere svelano una sorpresa, il marito è sterile.

Manca dalla regia cinematografica da sette anni ora si ritrova al festival di Venezia e per di più in concorso. Come si sente?

Ho pagato l'insuccesso al botteghino di "Chimera", era un film ostico e in qualche modo sperimentale. Era inusuale per il mercato, allora ho cercato di trovare una storia semplice. E così dopo un po' di sceneggiature andate a vuoto è arrivato "Il seme della discordia", un film semplice e lineare. A dire la verità avevo pensato che nessuno mi avrebbe più chiamato a lavorare. Oggi essere a Venezia, in concorso e con un cast di questo genere mi sembra surreale, quanto il mio film.

Come ha scelto il cast?

Di solito lavoro con persone che conosco, l'idea di affrontare un film dopo lungo periodo con attori che non conoscevo mi terrorizzava, avevo paura di non riuscire a farli entrare nelle corde della storia, nella mia visione del film. Invece è accaduto il contrario, tutti ne hanno compreso lo spirito e soprattutto sono stati in grado di accordare collettivamente gli ‘strumenti'.

Come definirebbe "Il seme della discordia"?

Non lo reputo una commedia in senso classico, non traspare il tono scanzonato o ridanciano. Il taglio è più ironico. I riferimenti al cinema anni Settanta, non solo italiani, sono palesi. Quentin Tarantino ama rielaborare i generi, anch'io cerco di farlo. Molti dichiarano di rifarsi a un certa cinematografia del passato, ma poi ne prendono le distanze. A me piace rielaborare altri film per poi costruire una storia tutta mia.

Nei suoi film, da "Libera" a "Chimera", ha sempre raccontato il mondo delle donne. Come sono cambiate?

Qui ritraggo un gruppo di donne colorate e determinate, ma come sempre con una caratteristica insita, la fragilità e un pizzico di follia. La follia per me è l'elemento fondamentale nella vita di tutti. Nelle donne esiste una vivacità intellettuale che le rende più folli di noi uomini, ovviamente in senso positivo.

Cerco sempre di raccontare questo tipo di follia, insieme all'istintività.

Invece qual è la sua visione della famiglia?
La famiglia come istituzione non mi interessa, la considero interessante come luogo di evoluzione, come palestra per relazionarsi con il mondo. Ovviamente non siamo noi a sceglierla quindi bisogna essere in grado di catturarne in vantaggi.

Nel film tocca dei temi sociali importanti come l'inseminazione artificiale, l'aborto e l'infertilità maschile.
Sì, ma volevo tenerli sullo sfondo. Non volevo realizzare un film a tesi, diciamo che li affronto con leggerezza, li pongo su un piano ironico, spero di non aver offeso nessuno.

Sullo sfondo inquadra una Napoli che conosciamo poco al cinema. Perché l'ha scelta?
Mi servivano dei grattaceli e delle palme, ero in cerca di un'atmosfera moderna, quasi giapponese e allo stesso tempo tropicale. Il centro direzionale mi ha offerto sul piatto d'argento quello che desideravo.

Cosa ci dice invece di Napoli e dei suoi rifiuti?
Qualcosa sta cambiando. Ma al di là della politica sono i napoletani che devono prendere coscienza della situazione. Devono essere consapevoli che oggi esistono dei problemi che il cittadino come singolo è obbligato a gestire.

Ritorniamo al cinema, cosa ne pensa del cinema italiano?
Noto una certa retorica intorno al nostro cinema, prima si parla di morte poi di rinascita, poi di rinascita e di morte, in tutte le cinematografie esistono periodi positivi e negativi. Dovremmo essere più rilassati nel giudicare lo stato di salute della cinematografia italiana, così ci auto-castriamo.

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